1-2018. La discesa agli Inferi.

Il mio viaggio in Grecia dell’estate appena trascorsa inizia con quella che solitamente è la fine, se non per personaggi del calibro di Dante, Enea, Odisseo o pochi altri:

la discesa agli Inferi.

Prima di entrare nell’Ade è però necessario attraversare il fiume che lo circonda, ossia il famigerato Acheronte, che si dà il caso scorra proprio in Epiro.

Se per Virgilio (Eneide, VI, vv 295-308) “Di qui è la via che porta alle onde del tartareo Acheronte.
Qui la corrente torbida ribolle di fango in vasta voragine
e vomita tutta la sabbia in Cocito.
Un orribile traghettatore custodisce queste acque ed i fiumi,
Caronte di terribile squalore, a cui sta nel mento
molta canizie incolta, gli occhi di fiamma fissano,
dalle spalle pende uno sporco mantello con nodo.
Egli spinge la barca col palo e la governa con le vele
e col battello ferrigno trasporta i corpi.
Anche se vecchio, ma il dio ha una cruda e verde vecchiaia.                                                                                                                                        Qui tutta la folla confusa si ammassava alle rive,
madri, uomini e corpi di magnanimi eroi
liberi dalla vita, ragazzi ed inviolate fanciulle,
giovani posti sui roghi davanti ai volti dei genitori…”

per Dante (Inferno, III, vv 70-84) invece: “E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d’un gran fiume;
per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com’io discerno per lo fioco lume».
Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d’Acheronte».
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no ’l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: «Guai a voi, anime prave!”…

G. Dorè. Caronte e i dannati.

Oggi moderni Caronti accompagnano non anime dannate, bensì vacanzieri spensierati a fare rafting sulle acque non torbide, ma cristalline del fiume,mentre altri percorrono la stretta e profonda gola nella quale l’Acheronte serpeggia, solcandone a piedi le acque.

Varie sorgenti sotterranee e cascatelle che scendono dalle ripide pareti rocciose si riversano nel corso principale e aggrappati alla pietra si possono osservare alcuni alberi scheletrici che si contorcono come spiriti sofferenti.

Ora siamo pronti per la discesa. Ma dove?

Qui sui profondi gorghi d’Ocèano ferma la nave,
e tu stesso sprofonda nell’umida casa d’Averno.
Nell’Acherònte qui Piriflegetonte si versa,
Cocito qui, ch’è ramo divelto dall’acque di Stige:
sotto una rupe insieme s’incontrano i fiumi mugghianti.
A questa rupe apprèssati, Ulisse, e fa’ ciò ch’io dico. (Omero, Odissea, X, vv 510-515)

Il sito, noto come Nekromanteion dell’Acheronte o di Efyra, per via della città che vi sorgeva accanto, era un santuario di Ade e Persefone ed è identificabile con certezza col luogo descritto da Omero per via della spettacolare corrispondenza geografica: era infatti costruito su una collina che si erge alla confluenza dell’Acheronte con due fiumi identificati con il Cocito e il Piriflegetonte, che defluivano nella palude Acherousìa, oggi prosciugata.

Il Nekromanteion in vista satellitale da Google Maps.

Mappa del Nekromanteion.

Tale corrispondenza era già stata notata da Pausania (Descrizione della Grecia, I, 17, 5) nel II secolo d.C., che forniva un’interessante spiegazione del perchè Omero avesse scelto questo luogo per collocarvi l’accesso al regno di Ade e Persefone.

Tra le attrazioni della Tesprozia ci sono un santuario di Zeus a Dodona e una quercia sacra al dio. Vicino a Cichyrus c’è un lago chiamato Acherusia e un fiume chiamato Acheronte. C’è anche Cocito, un torrente particolarmente sgradevole. Credo che fosse proprio perché Omero aveva visto questi luoghi che aveva fatto nei suoi Poemi un’audace descrizione le terre dell’Ade e dato ai suoi fiumi i nomi di quelli di Tesprozia.

Dunque secondo il geografo, sarebbero state le caratteristiche “infernali” di questo luogo a determinare la scelta di Omero di collocarvi l’ingresso dell’Oltretomba.

Secondo Torelli è invece determinante la concezione geografica degli antichi Greci, che collocavano il regno dei morti alle estreme propaggini occidentali del mondo conosciuto e cioè la costa più occidentale del loro orizzonte geografico. Poichè quest’ultimo non fu sempre lo stesso, la localizzazione dell’Ade alle foci dell’Acheronte sarebbe antichissima e precederebbe la “scoperta” (o per meglio dire la riscoperta dopo la colonizzazione di epoca micenea) dello Ionio e del Tirreno, vale a dire l’inizio dell’VIII secolo a.C.

Le strutture si datano in realtà a fine IV- inizio III secolo a.C., anche se frammenti di terracotta del VII secolo provengono dalla base della collina, ma soprattutto all’interno del cortile vennero inglobate tre tombe micenee a cista (XIV-XIII sec.), che ritengo possano avere un qualche legame con la funzione delle strutture succesive.

Il santuario era infatti un oracolo dei morti ed il primo ad avvalersene fu lo stesso Odisseo con l’ombra dell’indovino tebano Tiresia (Omero, Odissea, X, vv 516-540).

Scava una fossa che un braccio misuri per lungo e per largo,
e spargi a terra qui libagioni per tutti i defunti,
una di latte e di miele, un’altra di vino soave,
ed una terza d’acqua, cospargivi bianca farina.
Supplica quindi le fatue parvenze dei morti, e prometti
che, ritornato in patria, tu ad essi una intatta giovenca
immolerai, la piú bella, di doni colmando la pira.
Ed a Tiresia, a parte, prometti che un pecoro nero
immolerai, per lui solo, di tutta la gregge il piú bello
Poi, quando avrai le preci rivolte alle genti dei morti,
immola qui due pecore negre, una femmina e un maschio,
che con la fronte siano rivolti all’Èrebo. Indietro
tu torna allora, di nuovo rivolgiti al fiume corrente.
E molte anime qui venire vedrai di defunti.
Vòlgiti allora ai compagni, dà l’ordine ad essi che, prese
le vittime giacenti, sgozzate dal lucido bronzo,
l’ardano, dopo scoiate, e invochino i Numi d’Averno,
Ade possente, e Persèfone ignara di teneri sensi.
Sfodera poi dal fianco gagliardo l’aguzza tua spada,
piàntati lí, non lasciare le fatue parvenze dei morti
avvicinarsi al sangue, se prima Tiresia non parli.
Inclito Ulisse, e infine verrà l’indovino di Tebe,
che ti dirà la strada che batter dovrai, le distanze,
ed il ritorno, quale sarà per il mare pescoso».

In epoca storica, dopo un percorso iniziatico e di purificazione attraverso vari ambienti e corridoi, tra i quali anche un vero e proprio labirinto, si arrivava nella sala centrale dove si potevano interrogare le ombre dei defunti, che, sostenute per mezzo di macchinari simili a quelli in uso all’interno dei teatri da parte dei sacerdoti, servivano per ingannare gli ingenui visitatori e ottenere cospicui doni.

Sotto questa sala era l’Ade propriamente detto, un vasto ambiente sotterraneo parzialmente scavato nella roccia col soffitto retto da un’imponente struttura ad archi a tutto sesto.

L’ingresso…

… si avvicina…

Ecco l’Ade!

BIBLIOGRAFIA

S. I. Dakaris, Mesopotamos, in “EAA”, 1973: disponibile online.

Sito del Ministero della Cultura Greco.

M. Torelli, T. Mavrojannis, Nekromantèion, in “Grecia”, 1997, pp. 224-225.

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